Precariato e stabilità: è proprio vero che i giovani italiani sono dei bamboccioni e dei mammoni? O ci sono altre ragioni dietro questa diceria tutta europea? Secondo un recente studio Eurostat sui giovani europei, in Italia l’età media di uscita dal nido familiare è pari a 30,1 anni, in netta crescita negli ultimi cinque anni: con questo risultato siamo al quarto posto della classifica europea, peggio di noi solo la Croazia, la Slovacchia e Malta. Ma come mai gli Italiani tardano così tanto rispetto alla media europea, che si aggira intorno al 26,1 anni? Scoprilo leggendo l’articolo.
Le cause del precariato in Italia
Tra le cause principali del precariato c’è sicuramente la crisi economica: i giovani di oggi hanno spesso difficoltà a trovare un’occupazione che garantisca loro un reddito sufficiente a vivere da soli. Così ci si ritrova spesso a dover fare affidamento sulla dotazione economica familiare ritardando il momento del distacco dal nido familiare.
Inoltre, contrariamente a quello che avviene in altri stati in Italia il sistema di welfare è maggiormente indirizzato ai bambini e agli anziani, e mancano quasi totalmente delle forme di sostegno alle fasce di età tra i 18-35 anni
Stabilità in Europa
La situazione è molto diversa, per esempio, in Danimarca, il Paese europeo con la più bassa età media di uscita dal nido familiare. Basti pensare che due giovani su tre sono fuori dalla casa dei genitori entro i 24 anni.
Questo avviene perché in questi Paesi nordici, come anche in Svezia, l’accesso a un’abitazione è molto più democratico grazie a strumenti di welfare più idonei che permettono anche a giovani privi di reddito e di dotazione familiare di uscire dalla casa dei genitori.
Possibili scenari futuri
Guardando proprio a questi esempi virtuosi, l’Italia dovrebbe studiare dei sistemi incentivanti per incrementare le possibilità lavorative ed essere di supporto per l’indipendenza dei giovani.
Allo stesso tempo i giovani Italiani dovrebbero cercare di essere più coraggiosi, cercando lavoro anche lontano da casa, buttandosi magari anche in lavori che possono sembrare poco gratificanti o faticosi (purché sempre adeguatamente retribuiti).
Ogni singola esperienza lavorativa arricchisce ed è proprio da quelle più difficili che si impara maggiormente.